Amadeo Peter Giannini, il fondatore della Bank of America.

È una delle storie di emigrazione italiana più straordinaria (e di maggior successo) di sempre. Eppure, in Italia è praticamente sconosciuta. È quella di Amadeo Peter Giannini, il fondatore della Bank of America, ma anche il padre putativo di “Biancaneve e i sette nani”, il primo cartone animato di Walt Disney, e del Golden Gate, il ponte simbolo di San Francisco. Io mi ci sono imbattuta qualche mese fa ed ecco che cosa ho scoperto.

Tutto ha inizio a Favale di Malvaropiccolo borgo dell’entroterra genovese. È da qui, da una vecchia casa in pietra che oggi ospita un Museo dell’Emigrante, che nel 1869 una giovane coppia di sposi, Luigi Giannini e Virginia De Martini, dice addio al Belpaese per cercare fortuna in America. Qualche mese dopo, il 6 maggio 1870, a San Josè, California, nasce Amadeo Peter Giannini.

Ragazzo intraprendente, Amadeo studia e contemporaneamente dà una mano alla famiglia, che dopo la morte del padre e le seconde nozze della madre con un altro italiano, Lorenzo Scatena, si occupa del commercio di ortaggi. Giovanissimo si sposa con Clorinda Agnes Cuneo, figlia di un ricco emigrante di Calvari che a San Francisco opera nel settore bancario. Inizia a lavorare con il suocero, ma poi ha un’idea. Nei primi anni del Novecento investe tutto quello che ha, compreso il patrimonio della moglie, in un’impresa rischiosa: fondare una banca che garantisca tassi di cambio onesti e più bassi rispetto alle altre agli immigrati che spediscono i soldi in patria e conceda crediti anche per piccole somme a chi ha poche o nessuna garanzia. Ovvero, fare quello che tutte le altre non fanno perché “un banchiere degno di questo nome – era la sua teoria – non deve negare credito a nessuno, purché onesto”.

È così che nel 1904, nei locali di un vecchio saloon di North Beach, il quartiere degli italiani di San Francisco, apre i battenti la Bank of Italy, la “banca degli emigranti”. Giannini batte strada per strada, casa per casa, per presentare i servizi offerti dall’istituto. Si racconta che guardasse quanti calli aveva sulle mani chi gli chiedeva un prestito per decide se concederglielo o no. Opta per un azionariato popolare, fa sottoscrivere quote a commercianti, agricoltori e artigiani e decide di finanziare i costruttori che garantiscono prezzi buoni a chi vuole comprare casa.

Poi, il 18 aprile del 1906 San Francisco viene devastata da uno dei terremoti peggiori della storia. La città è in ginocchio. Si racconta che Giannini abbia portato fuori dalla sede semidistrutta del suo istituto di credito oro e denaro nascosti dentro carrettini della frutta simili a quelli che usava da ragazzino per vendere ortaggi insieme ai genitori. Lo stesso denaro che usa nei giorni immediatamente successivi al sisma per girare la città e concedere prestiti a chi ha perso tutto. In cambio chiede solamente una firma e l’impegno a restituire la somma non appena possibile. Così, mentre le altre banche faticano a rimettersi in piedi, la fiducia dei californiani nella Bank of Italy aumenta e con essa i depositi, che nel 1912 ammontano già a 11 milioni di dollari. La ricostruzione della città attira grandi somme di denaro, che passano attraverso le sue casse e Amadeo Peter Giannini diviene il simbolo della voglia di rivincita di una città distrutta.

Nel 1909 a San Josè, la città in cui Giannini è nato, viene aperta la prima filiale della banca: nel 1934 le filiali sono già 423 e da una ramo dell’istituto nel 1919 viene creato la Banca d’America e d’Italia. L’istituto continua a fare utili. Nel 1928 Giannini rinuncia alla sua quota di dividendi, pari a oltre 1 milione e mezzo di dollari. “Un uomo che desideri possedere più di 500mila dollari – aveva l’abitudine di dire – dovrebbe correre dallo psichiatra”.

La copertina che il "Time" ha dedicato a Giannini nel 1946.

Banchiere, ma anche mecenate, Giannini sa vedere ancora una volta lontano quando inizia a offrire prestiti a interessi stracciati alla nascente industria del cinema. Affascinato dalle potenzialità educative della nuova arte, vuole che nel 1920 la Bank of Italy sponsorizzi “Il monello” di Charlie Chaplin. Qualche anno dopo è la volta di “Biancaneve e i sette nani” di Walt Disney e di “Accadde una notte” di Frank Capra, regista con il quale il banchiere italo-americano stringe amicizia a tal punto che si dice che Capra si sia ispirato alla sua figura per “La vita è una cosa meravigliosa”. In tutto, tra il 1936 e il 1952, la banca di Giannini finanzia oltre 500 film, per un ammontare di oltre mezzo miliardo di dollari.

Nel 1932 è la volta di un’altra grande opera: il Golden Gate progettato da Joseph Strass. Il lungo ponte di San Francisco è un’opera grandiosa, che nessuno vuole finanziare. Lo fa Giannini, a tasso zero, perché convinto che l’infrastruttura di collegamento servirà a far ripartire l’economia della città, prostrata dagli effetti della gravissima crisi economica del 1929. Nazionalizzata nel 1927, intanto, la Bank of Italy cambia nome tre anni anno dopo in Bank of America National Trust and Saving Association e supera indenne gli anni difficili di quella crisi. Quando Giannini va a fare i conti si accorge che dei prestiti che nel corso degli anni ha concesso senza garanzia è stato rimborsato oltre il 90%: la “banca degli emigranti” ha dato fiducia ai più poveri, non ha perso capitale, ha prodotto utili e contribuito allo sviluppo della California. La scommessa è vinta e la Bank of Italy è diventata uno dei più grandi istituti di credito d’America.

La banca di Giannini affronta senza troppo problemi anche gli anni della Seconda Guerra Mondiale, finanziando l’industria bellica americana. L’Italia, però, è rimasta nel cuore del banchiere. Dopo la fine del conflitto fa in modo che l’istituto anticipi senza interessi i fondi per la gestione degli aiuti alla ricostruzione del Piano Marshall in Italia e finanzia direttamente molte aziende italiane, tra le quali anche la Fiat. Ormai anziano, Giannini si dimette dalla presidenza del suo istituto di credito nel 1945. I cassetti della sua scrivania quel giorno sono aperti: “Non ho nulla da nascondere – disse – come nulla ha da nascondere la banca”.

Amadeo Peter Giannini muore nel 1949 lasciando come eredità un colosso bancario, due fondazioni che ancora oggi portano il suo nome dedicate alla ricerca medica e allo sviluppo dell’economia rurale e un patrimonio personale tutto sommato contenuto, inferiore ai 500mila dollari. Il “banchiere degli italiani” era rimasto fedele alla teoria che aveva elaborato prima ancora di fondare la sua banca: “Non voglio diventare troppo ricco – aveva detto – perché nessun ricco possiede la ricchezza, ma ne è posseduto”. Una lezione che doveva aver imparato da bambino vedendo il padre morire in una rissa a seguito di una discussione per un debito di un solo dollaro.

Omaggiato negli Stati Uniti, Giannini ha dato lustro e prestigio alla storia degli italiani d’America incarnando con successo il mito del self made man e del mito americano. L’Italia si è di fatto dimenticata di lui. A ricordarlo sono rimasti un libro, intitolato “Biancaneve, il monello e lo zio d’America”, scritto a quattro mani da Guido Crapanzano e Kyra Van Ellinkhuizen, e quel piccolo museo a Favale di Malvaro ospitato dalla casa di famiglia dei Giannini, quella nella quale si vuole che Amadeo sia stato concepito prima che i genitori lasciassero l’Italia.

 

La casa dei Giannini a Favale di Malvaro ospita oggi il Museo dell'Emigrante.Nell’unica grande stanza a due piani sono raccolte fotografie e ritagli di giornale che ricostruiscono l’epopea del grande banchiere, anche se quella di Giannini non è l’unica storia di successo legata al piccolo borgo ligure. Negli stessi anni dei Giannini partì da lì anche Cesare Pezzolo, musicista tra i più affermati d’America nel primo Novecento, autore della celebre mazurka “cesarina” ancora oggi suonata nelle sale da ballo di tutto il mondo. Di Favale è originaria anche la famiglia del campione olimpico americano di pattinaggio Brian Boiotano, che recentemente ha voluto acquistare la vecchia casa che fu dei bisnonni e l’ha fatta ristrutturare. Una lunga storia di emigrazione che da fine Ottocento ha visto quasi 2mila favalesi fare le valigie diretti verso le grandi città italiane e all’estero, soprattutto in Perù e in California. Qui si trasferirono i primi emigranti ritrovando in quella terra lontana molto della loro Liguria. Il paese li ricorda ogni anno l’ultima domenica di giugno con la Festa dell’Emigrante alla quale partecipano più di 100 delegazioni di italo-americani liguri sparsi nel mondo. “Per noi è un momento molto importante con il quale vogliamo ringraziare tutti gli emigranti che hanno mantenuto un legame con la propria terra d’origine e in passato l’hanno sostenuta economicamente inviando i soldi a chi era rimasto in Italia”, racconta il sindaco Ubaldo Crino.

La storia di Giannini e degli altri favalesi oggi si ripete, anche se al contrario. Come succede in tanti borghi dell’entroterra ligure, anche Favale conta infatti una nutrita comunità di stranieri (il 10% circa dei suoi 520 abitanti). Badanti, muratori e commercianti albanesi, romeni e polacchi, ma anche vietnamiti e sudafricani, che a Favale sono venuti a cercare la loro America.